Sono in molti a pensare che il Governo Renzi, o meglio il presidente del Consiglio, sia malato di “annuncite”, quella strana patologia che spinge gli amministratori ad annunciare riforme epocali in assenza di riscontri concreti.
L’ex sindaco di Firenze ha palesato i sintomi di annuncite anche in occasione della presentazione della riforma della giustizia, avvenuta in pompa magna a fine agosto. Dietro i toni trionfalistici, però, si è intravisto una sorta di pasticcio. La verità è che dal Consiglio dei Ministri non è uscito nulla, se non qualche linea guida. Insomma, tanto fumo e poco arrosto, quest’ultimi per giunta a favore della casta. La verità è che il cammino delle riforme, almeno per quanto riguarda la giustizia, è per l’esecutivo renziano estremamente accidentato. Innanzitutto, una parte della maggioranza nutre, nella migliore dei casi, opinioni diverse su come la giustizia in Italia dovrebbe essere. Nel peggiore dei casi, poi, è alta la probabilità che vizietto classico del centrodestra (favorire Berlusconi) incida più del previsto. Senza contare poi che al fianco del ministro Orlando ci sono due esponenti, o ex esponenti, dell’universo “pro-Berlusconi”: Enrico Costa e Cosimo Ferri.
Tutti questi ostacoli hanno convinto Renzi a prendere tempo, con la speranza di non darlo troppo a vedere. Da questa strategia (fingere di essere a buon punto) è nato lo scivolone di giugno, quando il premier ha convocato la stampa per diffondere le linee guide della riforma. Un testo di una paginetta che ha suscitato l’ilarità di molti analisti, tra i quali spicca Marco Travaglio.
Il secondo scivolone c’è stato il 29 agosto, quando Renzi e Orlando hanno presentato “il testo della riforma” uscito dal Consiglio dei Ministri. In questo testo, che ancora non è stato diffuso ma solo “riassunto” dai due in conferenza stampa, emerge un quadro appena abbozzato. In estrema sintesi, molte linee guide sono rimaste tali e quelle che hanno subito una certa elaborazione sono apparsi come regali alla casta. Per tutti il resto, c’è l’elemento delega, fondamentale per la tattica di temporaggiamento di Renzi.
Parlando “dell’arrosto”, siamo di fronte a delle proposte che non si distanziano poi tanto da quelle avanzate negli anni passati dal centrodestra. I nodi principali sono rappresentati, come è facile intuire, dalle intercettazioni e dalla prescrizione.
Per quanto riguarda le intercettazioni, il più critico è il Fatto Quotidiano, che ha parlato di vero e proprio bavaglio. Di certo c’è che, stando alle ipotesi messe in campo dal Governo, non potranno essere più pubblicate dai mezzi di comunicazione se non nella forma del riassunto. Anche nella sostanza, però, si va di male in peggio: le intercettazioni, prima di essere utilizzati nel procedimento penale, devono essere sottoposti a una udienza filtro nella quale i giudici dovranno decidere quali distruggere e quali no, il tutto in nome del diritto alla privacy. Questo passaggio in più potrebbe causare un rallentamento ulteriore della macchina della giustizia.
Sul fronte della prescrizione, poi, potremmo essere di fronte all’ennesimo tentativo di salvare Berlusconi. La norma uscita dal Cdm prevede lo stop delle lancette dell’orologio della prescrizione in caso di condanna in primo grado, con l’obbligo di giungere all’appello entro due anni. La norma appare, in questa forma, ricca di buon senso ma è la clausola voluta dall’Ncd di Alfano a preoccupare. Secondo questa, infatti, la nuova norma non varrebbe per i processi che sono già giunti alla sentenza di primo grado alla data di entrata in vigore della riforma. Stando a questo “balzello”, il processo per la compravendita dei senatori a carico di Silvio Berlusconi “morirebbe” a fine del 2015, salvando di fatto il leader di Forza Italia.
Infine, dal Cdm è uscita la norma secondo cui sarà impossibile ricorrere in tassazione nel caso in cui si sia giunti al secondo grado con la conferma della sentenza emessa al primo grado.
– Giuseppe Briganti