In questi giorni sta facendo scalpore il braccio di ferro tra Renzi e Jyrki Katainen, commissario europeo definito da tutti come “falco dell’austerity”. Dalle dichiarazione dei due politici, si ha l’impressione che appartengano a due universi completamente opposti. Il premier italiano è flessibilista, il finlandese è rigorista. Il primo comunica niente affatto in politichese, il secondo parla come un freddo burocrate.
In verità, lo scontro si gioca soprattutto sui contenuti. Katainen accusa l’Italia (implicitamente) di non fare il suo dovere sul piano delle riforme e si è dimostrato scettico sulla possibilità che il nostro paese non sfori il tetto del deficit. Renzi ha risposto in modo sprezzante (su Twitter) che l’Italia ha fatto il suo e che l’Ue non deve dare lezioni, ma investimenti.
In verità, entrambi hanno torto. Katainen sbaglia a porre l’accento sulla disciplina di bilancio e a ignorare (nei fatti) che la vera priorità è la crescita e non il rispetto di una soglia, quella del 3% del rapporto deficit-Pil, tra le altre cose puramente convenzionale. Ma si sa, è questo il pallino dell’ex ministro finlandese e chiedergli di essere più flessibile sarebbe come dirgli di non respirare.
Renzi, dal canto suo, ha sbagliato un bel po’ di mosse. Strategicamente, posto che l’obiettivo (si spera) è far ripartire l’Italia con l’aiuto dell’Europa, si è rivelato totalmente inutile rivolgersi alla Merkel e non ad altri interlocutori. Perché Renzi ha fatto proprio questo: fin dall’inizio di questa nuova legislatura europea ha parlato con chi era inutile parlare e ha snobbato chi, seppur diverso da lui, condivideva i suoi stessi obiettivi. Il premier italiano ha incontrato Angela Merkel e si è accredito verso di lei, nella speranza che all’Italia potesse essere concessa una flessibilità maggiore, non solo per quanto riguarda il deficit ma soprattutto sul fronte del Fiscal Compact, che dall’anno prossimo chiederà lacrime e sangue a mezza Europa.
Le speranze di Renzi sono state disilluse ma è solo colpa sua: la Germania, per quanto “cattiva” non pecca certo di ipocrisia. E’ falso dire che dica una cosa e ne faccia un’altra. La Merkel non la conosciamo certo oggi, né tantomeno la sua intransigenza. Dunque per quale motivo Renzi ha puntato sul cavallo sbagliato? Semplicemente, come spesso gli capita, si è fidato troppo delle sue capacità. Ha, in primo luogo, riposto troppo fiducia sulla capacità di imporsi in Italia e quindi di fare le riforme in tempo record, in modo da sbalordire gli interlocutori europei e ottenere le concessioni sperate. E invece si è ritrovato nel pantano parlamentare, e a settembre è ancora lì, a farsi “sgridare” dal professorino Katainen. Il quale, dal suo punto di vista, ha ragione: le riforme non si annunciano e non si scrivono, si attuano.
Secondariamente, ha sovrastimato l’importanza del suo consenso. Probabilmente ha pensato che il 40% di maggio potesse spingere gli altri leader europei, persino gli austeri tedeschi e scandinavi, a pensare a lui come un interlocutore troppo importare da essere ignorato. La dote che Renzi ha portato in Europa (una dote di voti) non gli ha però garantito nessun privilegio rispetto a chi lo ha preceduto.
Cosa avrebbe dovuto fare Renzi? Semplicemente, avrebbe dovuto rivolgersi con la galassia di partiti che gravitano attorno a una convinzione: l’Europa deve darci un taglio con l’austerity. Con i suoi voti, il suo consenso e l’importanza di cui – nonostante tutto – gode l’Italia, avrebbe potuto guidare un fronte molto nutrito e agguerrito.
Il premier nostrano ha deciso di ignorare quelle voci per un motivo politico. Molte di quelle forze sono antagoniste, quindi critiche verso il sistema, e il Pd vuole distanziarsi da una simile verve radicale. Senza considerare il fatto che, in patria, imperversa la lotta contro il Movimento 5 Stelle. Ma se in Italia il Pd può allearsi con chi è – ufficialmente – diverso da lui, perché in Europa non può farlo?
– Giuseppe Briganti