Che la riforma della giustizia prospettata dal Governo Renzi contenga al suo interno gravi criticità non è più un mistero per nessuno. Entrare nel merito di ogni singoli difetto è però difficile a causa del livello tecnico necessario per comprendere e valutare. In tal senso può aiutare l’intervista che Marco Travaglio ha fatto a Piercamillo Davigo, ex Pubblico Ministero di Mani Pulite, oggi giudice della Cassazione. Questi i punti che il magistrato ha toccato.
Ferie dei magistrati. E’ ovviamente il tema meno decisivo, ma il pasticcio che l’esecutivo sta combinando è emblematico dell’intenzione di distrarre, con polemiche e dibattiti inutili, l’opinione pubblica da ciò che è realmente importante. In buona sostanza, Renzi ha accusato il mondo della magistratura di essere poco produttivo perché i giudici godono di sei settimane di vacanze contro le due degli altri dipendenti pubblici. Davigo respinge questa critica e riporta uno studio europeo che sancisce la produttività dei giudici italiani rispetto all’Europa intera: “L’Italia ha 14,8 giudici ogni 100 mila abitanti, tanti quanti la Francia, contro gli 11,6 del Regno Unito e i 30,7 della Germania. Nel civile, in Germania ogni giudice riceve 54,86 nuove cause e ne definisce in primo grado 78,86; in Francia ne riceve 224,15 e ne definisce 215,67; in Italia ne riceve 438,06 e ne definisce 411,33. Nel penale, un giudice tedesco riceve 42,11 processi e ne chiude 42,91, uno francese ne riceve 80,92 e ne chiude 87,06, un italiano ne riceve 190,71 e ne chiude 181,09”.
Affidamento ad arbitri esterni. La riforma intende incoraggiare il ricorso agli arbitri esterni in modo da ridurre le cause. In buona sostanza, le due parti, se d’accordo tra loro, si potranno rivolgere al “giudice di pace” con più facilitare, in modo da alleggerire il lavoro dei tribunali. Per Davigo, si tratta di fumo negli occhi. La maggior parte delle cause sono tra debitori e creditori. Questi ultimi non accetteranno mai di ricorrere all’arbitro esterno perché, semplicemente, conviene andare in causa per perdere tempo. In caso di assoluzione, tanto meglio. In caso di condanna, poco male: avranno posticipato il pagamento di parecchi anni. Secondo Davigo, non serve incentivare il ricorso all’arbitraggio esterno, quanto piuttosto disincentivare il ricorso al giudice ordinario. Come fare? Semplicemente inasprendo le pene per i debitori, come accade negli Stati Uniti, dove a nessun creditore conviene iniziare una causa.
Prescrizione. La riforma prevede l’accorciamento della prescrizione di due anni dopo la sentenza di primo grado e di un ulteriore anno tra appello e Cassazione. Se però la sentenza in appello viene annullata, il normale decorso viene ripristinato. Davigo reputa queste misure insufficienti a scongiurare tattiche delatorie da parte della difesa. Una soluzione, di contro, sarebbe l’estinzione definitiva della prescrizione già dalla sentenza di primo grado.
Abbassamento dell’età pensionabile. La riforma stabilisce che i giudici debbano andare in pensione a 70 anni anziché gli attuali 75. Secondo l’ex pm di Mani Pulite, è una decisione senza senso. Il “largo ai giovani” in questo caso è controproducente semplicemente perché, oggi, giovani in grado di sostituire gli anziani negli organi direttivi non ce ne sono. Prima bisognerebbe indire i concorsi e poi affrontare i discorsi sullo svecchiamento. A riforma entrata in vigore, i 72enni verrebbero sostituiti dai 68enni, che proprio giovani non sono. Davigo ha anche parlato delle riforme che secondo lui andrebbero fatte. In primis, stabilirebbe un interesse giudiziale molto più alto di quello bancario, in modo da rendere inappetibile il ricorso al giudice da parte dei creditori. In secondo luogo, istituirebbe la “reformatio in peis”, il principio secondo cui se un condannato ricorre in appello può andare incontro a pene ancora più alte. Non a caso, in Francia solo il 40% delle condanne viene appellate. Negli Stati Uniti, addirittura, la Cassazione esamina solo 100 casi l’anno, contro le 100.000 dell’analogo organismo italiano. Gli States, in questo, sono favoriti da una norma secondo la quale una sentenza per essere impugnava deve incontrare il favore di 4 giudici della Corte Suprema su 9.
– Giuseppe Briganti