La legislazione italiana non brilla per efficienza quando di mezzo ci sono i politici. A una generosità senza pari in Europa in quanto a stipendi e vitalizi, si aggiunge un approccio troppo morbido rispetto ad alcune situazioni particolari. Come le condanne passate in giudicato, per esempio.
La dimostrazione di ciò è la vicenda di Salvatore Cuffaro, ex governatore della Regione Sicilia, in carcere da tre anni. I giudici li hanno condannato a sette anni di reclusione per favoreggiamento al mafia. Una sentenza che il politico accolse con gioia proprio perché gli anni erano solo sette. Una tacita ammissione di colpevolezza, addolcita da una certa quantità di cannoli ingurgitati e offerti alla giunta a mo’ di festeggiamento.
Oggi di cannoli ne mangia di meno, le ultime immagini lo scoprono assai dimagrito. Avrà tutto il tempo e il modo di ingrassare dal 2018 in poi, quando sarà uscito di prigione. Ad aspettarlo, infatti, un cospicuo vitalizio: 6.000 euro (lordi) al mese per il resto dei suoi giorni. Frutto del ruolo coperto in regione ma soprattutto di un paio di colpi di fortuna.
Il legislatore, sia siciliano che nazionale, ha negli anni “inasprito” le condizioni per la concessione dei vitalizi, ma Totò Vasa Vasa è sempre riuscito a salvarsi per il rotto della cuffia. In primo luogo, la sospensione o l’impossibilità di ricevere il vitalizio è preclusa a chi commette reati contro la Pubblica Amministrazione. Nessun danno viene recato, in questo senso, ai mafiosi.
Secondariamente, Cuffaro è riuscito a “scampare” alla riforma Monti. Questa prevede un’età minima per accedere ai vitalizi di 60 anni (rispetto ai 50 anni di prima). La riforma è del 2011, ma le istituzioni siciliane hanno recepito la norma solo all’ultimo, ossia nel 2012. In quell’anno l’ex governatore aveva già iniziato a godere del vitalizio.
Infine, a favore di Cuffaro è intervenuta l’Ars, l’Assemblea Regionale Siciliana. Il massimo organo legislativo della Trinacria non è famoso della celerità, ma in questo caso si è rivelato un fulmine. La richiesta di vitalizio giunse proprio il giorno dell’entrata in carcere del diretto interessato. Risultato, dopo due settimane era sì in carcere, ma anche beneficiare di un bell’assegno mensile.
La morale di questa storia è che, per un modo o nell’altro, lo Stato si è rivelato incapace di cancellare quelle distorsioni che rischiano, in tempo di crisi economica, di far esplodere le tensioni sociali. Da segnalare anche lo spirito di gruppo che caratterizza la cassa. Il riferimento è alla velocità nella concessione del vitalizio.
Sicché Cuffaro si è ritrovato a soli 53 nella felice condizione di pensionato. Un privilegio che difficilmente toccherà a un numero elevatissimo di giovani e che per alcuni è stato posticipato più in là con il tempo. Nello stesso in cui il vitalizio veniva concesso all’ex Governatore, l’esecutivo Monti varava la riforma delle pensioni, che di certo non ha giovato ai lavoratori.
La buona notizia, ammesso che a qualcuno gliene importi qualcosa, è che sembra Cuffaro si sia pentito. Voci di corridoio – e qualche intervista rilasciata dal carcere – suggeriscono che sia diventato religiosissimo e che si sia messo in testa di dedicare il resto dei suoi giorni ai poveri e al volontariato. La sua volontà sarebbe quella di iniziare a lavorare presso la missione Speranza e Carità di Biagio Conte. Il giudice non ha accolto la sua richiesta, ma rimane la contraddizione: un vecchio colluso, straricco, con 6.000 euro di vitalizio in pancia, che vuole aiutare i poveri.
– Giuseppe Briganti