Nominare i giudici della Consulta si sta rivelando per il Parlamento un compito più arduo di quanto ci si aspettasse. Una quota di giudici va nominata dal Presidente della Repubblica, un’altra va invece nominata dai partiti. Proprio loro stanno in queste settimane dando pessima mostra di sé: candidati impresentabili, silurati dagli stessi compagni di schieramento, comunque in grado di generare discordia tra i gruppi parlamentari e al loro interno.
Fino a questo momento sono stati bruciati “nomi illustri”. Il riferimento è ad Antonio Catricalà (Forza Italia) e Luciano Violante (Partito Democratico). Giorgio Napolitano, che almeno all’apparenza tiene molto alle immagini delle istituzioni, ha cercato di dare il buon esempio. Mentre i politici accumulano giorni di ritardo e si fanno la guerra persino su questo campo, che politico lo è fin a un certo punto, il presidente ha nominato i giudici afferenti alla sua quota con addirittura venti giorni di anticipo.
Rischia però di valere il detto “la fretta è una cattiva consigliera”, a meno che Napolitano non abbia voluto assegnare alle nomine che spettavano a lui un chiaro significato politico. Purtroppo, la seconda alternativa è quella che appare più realistica.
I due giudici rispondono al nome di Daria De Pretis e Nicolò Zanon. Sostituiranno Sabino Cassese e Giuseppe Tesauro (indicati da Ciampi dieci anni fa). Per quanto riguarda la De Pretis, l’unico aspetto che desta perplessità è il legame con un ex deputato dei Democratici di Sinistra (partito antenato del Pd), Giovanni Kessler, con cui è sposata. Appunti di altro genere non se ne possono fare: il curriculum parla chiaro e appare in linea con il ruolo di giudice della consulta.
Discorso diverso per Zanon. Sia chiaro, anche il suo curriculum è di tutto rispetto, ma a far storcere il naso è la sua storia politica, non quella professionale. Il ritratto che emerge dopo anni di rapporti con il Parlamento, ai quali comunque il giudice è stato ripetutamente esposto, è quello del magistrato Berlusconiano, spesso e volentieri pronto ad affiancare l’ex Cavaliere nella sua lotta contro le “toghe rosse”.
Due episodi valgano per tutti: nel 2013 Zanon ha espresso parere contrario alla Legge Severino, non adducendo, come motivo (sarebbe stato legittimo e condivisibile) la sua morbidezza nei confronti dei corrotti. Anzi, le sue critiche vertevano sulla presunta violazione dei diritti dei parlamentari. Nel 2009, cosa ben più grave, si dichiarò favorevole al Lodo Alfano, l’insieme di norme che, se realmente varate, avrebbero protetto le prime quattro cariche dello Stato da praticamente ogni tipo di processo nel corso del suo mandato. Il legislatore, in quel frangente, ha cercato anche di distruggere l’istituto delle intercettazione, di fatto svuotandole della loro efficacia.
La storia di Zanon è anche una storia di compromessi e di ricerca del dialogo, anche con gli impresentabili. Non a caso è tra i fondatori del progetto ItaliaDecide, una sorta di tavola rotonda permanente il cui scopo sarebbe quello di promuovere politiche pubbliche efficienti e condivise. Nei fatti, un assembramento di destrorsi e sinistrorsi, uomini al di sopra di ogni sospetto e amministratori protagonisti dei periodi più bui della storia italiana. Questi i nomi: Giuliano Amato, Alessandro Campi, Vincenzo Cerulli Irelli, Paolo De Ioanna, Gianni Letta, Massimo Luciani, Domenico Marchetta, Pier Carlo Padoan, Angelo Maria Petroni, Giulio Tremonti e ovviamente Luciano Violante.
Ciononostante, la sua nomina ha incontrato il plauso di Renzi. In una nota ha dichiarato: “Molto bene la decisione del presidente Napolitano, sono scelte di ottima qualità. Adesso il Parlamento non ha più alibi, si deve chiudere”.
Giuseppe Briganti