Il 100% dei lavoratori in Lombardia percepisce l’attività della mafia come presente e in grado di compromettere il naturale sviluppo degli scambi economici. Con questo dato Aurelio Bissoni, consigliere nazionale dell’Ordine dei Giornalisti, ha aperto il convegno “Mafia e Corruzione”, tenutosi il 29 ottobre al Circolo della Stampa (Milano).
Un dato, questo, che restituisce le dimensioni del problema. La mafia, e soprattutto la Ndrangheta, non è più una questione che riguarda solo il Mezzogiorno. Riguarda l’Italia intera, persino l’Europa. E’ questa la convinzione che ha caratterizzato il mandato europeo di Sonia Alfano, figlia del magistrato Giuseppe Alfano (ucciso dalla mafia nel 1993). Il suo intervento si è incentrato proprio sugli sforzi da lei realizzati per rendere gli stati membri dell’Ue consapevoli della dimensione continentale del “problema Mafia”.
“Il fenomeno è sottovalutato in Europa. Per i cittadini britannici la percezione della mafia è uguale alla percezione del furto di biciclette. Per i cittadini olandesi è uguale a quella del furto di automobili”. Anche le istituzioni difettano in consapevolezza. “La strage di Duisburg è l’emblema. I magistrati italiani chiesero ai colleghi tedeschi di sequestrare il ristorante teatro del delitto. Questi però non ravvisarono gli estremi per il sequestro e quindi la scena fu inquinata. Questa superficialità nell’approccio ha permesso alle mafie di espandersi e radicarsi all’estero”.
Il lavoro di Sonia Alfano al Parlamento Europeo ha portato alla stesura di un Testo Unico sulle mafie. Il suo scopo è quello di “far parlare a tutti gli stati membri lo stesso linguaggio”. Questa riforma, però, rischia di essere confinata in un cassetto: Sonia Alfano ha terminato il suo mandato e l’attenzione sulla questione è calata vistosamente. Pino Cassata, del Movimento Agende Rosse Circolo Peppino Impastato di Milano, ha riportato l’attenzione sull’Italia. Il suo intervento ha toccato un nervo scoperto: il Papello di Totò Riina, “il pizzino più famoso del mondo”.
Il Papello contiene le richieste che Cosa Nostra avanzò allo Stato. La tesi di Cassata, purtroppo corroborata dai fatti, è che buona parte di queste richieste sia stata accolta dal Parlamento. “Non occorre nessun esperto per vedere coincidenze tra il Papello e alcuni provvedimenti legislativi. E’ tutto chiaro, sconfortante e terribile”.
La coincidenza più lampante, oggetto tra l’altro del processo sulla trattativa Stato-mafia, è il mancato rinnovo del 41-bis a 340 mafiosi. Questo provvedimento, realizzato dal ministro della Giustizia Giovanni Battista Conso a fine 1993, ha esaudito il punto due del Papello. Altre stranezze riguardano la chiusura delle super-carceri dell’Asinara e di Pianosa – luogo di detenzione di molto mafiosi – e l’abolizione dell’arresto automatico degli indagati per mafia (Decreto Biondi, chiamato decreto salva-ladri).
Questo, il passato – purtroppo prossimo. A parlare del presente è stato Gianantonio Girelli, membro della Commissione Antimafia alla Regione Lombardia. Il suo intervento ha illustrato lo status quo della lotta alla criminalità organizzata in Lombardia. Lotta che si basa su una consapevolezza: “l’assoluta lentezza e ritardo con cui le istituzioni si sono rese conto di quello che stava accadendo in Lombardia sul fronte dell’infiltrazione mafiosa”.
La Commissione si è posta tre obiettivi: l’incontro tra la politica e quella parte di società civile che la mafia la combatte sul territorio ogni giorno (es. Libera); la traduzione di queste esperienze di incontro in termini di norme e provvedimenti legislativi; la formazione di una cultura anti-mafiosa a tutti i livelli: amministratori, funzionari, scuole. Piero di Caterina ha invece ricostruito il legame tra corruzione e mafia. La prima rappresenta l’humus ideale affinché la seconda si espandi e si radichi. Sconfiggere la corruzione vuol dire sconfiggere la mafia. Come si fa a debellare questo male? Innanzitutto occorre essere consapevoli non solo delle dimensioni del fenomeno corruttivo – che va ben oltre i 60 miliardi di cui si parla in giro – ma anche delle particolari dinamiche che lo muovono. Dinamiche che lui, da imprenditore, ha dapprima subito e infine denunciato. “Esistono due tipi di corruzione: quella tra imprenditore e politico, che insieme agiscono per accaparrarsi denaro pubblico, e quella del politico contro l’imprenditore, a cui viene chiesto denaro per competere con pari diritti insieme agli altri imprenditori”. Secondo Di Caterina, se non paghi il politico di turno, sei escluso dal mercato e non puoi lavorare.
Il grande accusatore di Penati ha offerto una soluzione semplice quanto efficace: “Tutti i cittadini si devono interessare di corruzione”. Come? Il primo passo è quello di rendere pubblici il maggior numero di dati possibili, in modo che il cittadino – in completa autonomia – possa realizzare azioni di “intelligence”. E’ l’ideologia OpenSint, che ha già preso piede nel mondo anglosassone e ha dato i suoi frutti.
A chiudere l’incontro è stata Manuela Stigliano, presidente del Circolo della Stampa, che ha fatto un appello alle istituzione: proteggere i cittadini che, a qualsiasi titolo, si impegnano a far emergere la legalità.