“Io credo che senza questi colletti bianchi e senza gli uomini di Stato collusi, la mafia dei Riina e dei Provenzano sarebbe stata debellata da un pezzo”.
Queste parole, pronunciate da Roberto Scarpinato, procuratore generale presso la Corte d’Appello di Palermo, restituiscono la vera cifra della criminalità in Italia.
In questi giorni si fa un gran parlare del “mondo di mezzo” di Mafia Capitale. Eppure il vero mondo di mezzo non è quello di Massimo Carminati ma quello dei colletti bianchi. Quelli collusi, ovviamente.
La burocrazia criminale non collega la politica al sottobosco di delinquenti neofascisti di Roma. Collega la mafia alla politica. Lo scopo, comunque, è sempre quello: appropriarsi dei soldi dei cittadini. In questo va però evidenziata un’aggravante: il denaro non è destinato solo ai politici corrotti ma anche ai mafiosi.
La burocrazia corrotta finanzia la mafia. E’ questa la triste verità.
Il legame tra mafia e politica, quando c’è, gode di un collante dall’efficacia formidabile: la corruzione. E’ questo lo strumento attraverso cui la criminalità organizzata si infiltra nelle istituzioni pubbliche e, in un certo senso, le fa sue. A quel punto, chi può dire dove finisce la politica e inizia la mafia? L’unica conseguenza veramente visibile, almeno per i cittadini, è il proliferare di indagini e il numero sorprendente di comuni sciolti per mafia.
La vergogna dello scioglimento è toccata, in questi anni, a una quantità rivelante di piccoli Comuni ma anche a Reggio Calabria, che è un capoluogo di Provincia. Se pensiamo che la prossima potrebbe essere Roma, la città più importante d’Italia, la dimensione del problema diventa evidente.
Non si tratta dell’opera criminale di poche mele marce, ma di un problema sistemico.
Come se ne esce? Propedeutica a qualsiasi ipotesi risolutiva è l’opera di protezione degli onesti. Soprattutto, di chi intende denunciare gli episodi corruttivi. Sono in tanti che vorrebbero farlo ma che tentennano per la paura delle conseguenze. Paura più che giustificata: lo Stato, colpevolmente, tende a lasciare solo chi denuncia.
Essenziale è anche l’opera di informazione alla quale i media non possono sottrarsi. Informazione che ha compito di ritrarre il “sistema” per quello che è, evitando di cedere alle sirene di una narrazione. La stessa che, in questi anni, ha diviso l’Italia in due mondi: quello delle istituzioni democratiche e quello della criminalità. Quei mondi sono, per una considerevole parte, un tutt’uno.
L’elemento più significativo, e che porta al fraintendimento, è rappresentato da una fatto… Metodologico: la corruzione, soprattutto quella mafiosa, non spara. Quindi passa inosservata e si nasconde all’ombra della parte buona delle istituzioni.
La corruzione non spara, ma uccide.
Uccide non solo fisicamente ma anche economicamente. Perché se il paese è in ginocchio non è solo colpa della spiacevole congiuntura internazionale, ma anche e soprattutto della quantità di denaro che viene sottratta ai cittadini e che serve ad arricchire politici criminali e mafiosi.
E non ci si illuda: la corruzione in Italia non si appropria delle “poche decine di miliardi” suggerite dagli studi internazionali (realizzati tenendo conto non di dati reali bensì della percezione della popolazione – ma di cifre di gran lunga superiori.
Giuseppe Briganti