Il grande De Andrè descriveva il comportamento della politica di fronte ai crimini con questo celebre verso: “lo Stato si costerna, si indigna, si impegna poi getta la spugna con gran dignità”. Non aveva tutti i torti. Il tradizionale canovaccio di dichiarazioni sta caratterizzando le prime fasi dello scandalo di Mafia Capitale. Con l’indignazione, però, non si risolvono i problemi. Tutt’al più si getta del fumo negli occhi dei cittadini, e l’unico risultato è quello di aumentare i distacco tra gli italiani e le istituzioni.
Una delle colpe più evidenti dello Stato è quindi l’immobilismo. Tangentopoli è scoppiata più di venti anni fa, e ad oggi è cambiato poco o nulla.
Secondo Carlo Stagnaro de Il Foglio, però, questa non è l’unica colpa dello Stato. In un articolo molto suggestivo, il giornalista lancia una provocazione: la colpa più grande dello Stato è quella di esserci. La corruzione ha vita facile non per qualche strana contingenza che spinge i meno onesti ai posti di comando, bensì per una questione di struttura. E’ l’apoteosi del detto “l’occasione fa l’uomo ladro”. Solo che in questo caso l’occasione è rappresentata dalla presenza dello Stato.
La corruzione prolifera perché l’Italia è una realtà con un forte invadenza dello Stato; è questo il succo delle riflessioni di Stagnaro.
Potrebbe sembrare il salito attacco al welfare del solito sostenitore del liberismo, ma il ragionamento è più profondo di ciò che sembra.
“Il brodo di coltura della corruzione è dato dall’ampiezza dell’interventismo pubblico e dalla sua discrezionalità. La corruzione cresce con l’iper-regolamentazione, l’erogazione di sussidi e l’opacità delle scelte e dei processi decisionali” scrive stagnaro.
Il ragionamento tiene. Grazie all’ampiezza dello Stato Sociale, dal centro alla periferia scorrono fiumi di denaro. Le “acque di questo fiume” vengono raccolte dai disonesti, che possono operare nell’ombra ma – allo stesso tempo – in uno sconcertante contesto di legalità causato dal gigantismo legislativo. L’iper-regolamentazione, appunto, introduce la possibilità di procedere in maniera arbitraria e, si sa, il libero arbitrio reca in sé la possibilità di fare del male.
Continua Stagnaro: “I migliori alleati di corrotti e corruttori sono l’interventismo pubblico, le lungaggini giudiziarie e le rigidità burocratiche. I loro nemici sono invece le riforme che obbligano lo stato a fare poche cose e farle bene”.
Si intuisce, quindi, che la soluzione al problema corruzione è semplice: liberalizzare, ridurre la presenza dello Stato. Una soluzione di certo pericolosa, perché cova in sé pesanti effetti collaterali (es. alleggerimento del welfare) ma secondo il giornalista assolutamente generosa.
Chi è affezionato allo Stato Sociale potrebbe obiettare che una soluzione potrebbe essere quella di aumentare i controlli, senza sentirsi costretti a tagliare i sussidi. Stagnaro cerca di smantellare questa critica citando i mille enti di controllo pubblico tutt’ora attivi ma in capaci di impedire il dilagare della corruzione.
Sicuramente c’è un aspetto, in verità molto importante, che il giornalista ha quasi totalmente ignorato: la mentalità. Nessuna soluzione alla corruzione potrà mai essere efficace se non si crea l’humus culturale adatto, quello che vede la corruzione oggetto di vergogna sociale, sentimento che, da sempre, in Italia è poco frequentato.
Giuseppe Briganti