L’Italia è in paese corrotto. Questa è una verità. Lo si avverte nella vita di tutti i giorni, accendendo la televisione, leggendo i giornali. E’ una verità in qualche modo certificata dai numeri. L’Ocse, per esempio, ha rilevato che la percezione della corruzione in Italia è ai massimi tra tutti i paesi industrializzati (90%). Sempre l’istituto internazionale informa che il fenomeno vale, sempre nel nostro paese, almeno 60 miliardi di euro ogni anno.
La prima domanda da porsi è su come sconfiggere la corruzione. La seconda, invece, dovrebbe vertere sui motivi per cui la corruzione nel Bel Paese dà vita a fenomeni così estesi e profondi. Conoscere le cause del problema, d’altronde, è una conditio sine qua non per vincere la battaglia.
I motivi non sono poi così tanti. Possono essere contati sulle dita di una mano. Sono, per la precisione, tre.
Le norme. E’ il motivo più facile da rintracciare. La corruzione in Italia è così presente perché lo Stato, molto banalmente, non la punisce. O almeno fa molto poco per punirla. A lanciare l’allarme sono stati ultimamente molti uomini di legge, tra cui il sostituto procuratore Nino Di Matteo, che ha ricordato: “Su oltre 60mila detenuti solo poche decine scontano pene per corruzione”. La certezza dell’impunità favorisce il proliferare dei fenomeno corruttivi. Il problema riguarda in primo luogo la mitezza delle pene, ma anche la facilità a sfuggire alla giustizia.
La burocrazia. Un altro motivo può essere rintracciato nella pesantezza della burocrazia. Quando la burocrazia è sovradimensionata, il processo di controllo viene compromesso. Inoltre, le responsabilità vengono diluite. Nelle maglie della burocrazia i corrotti e i corruttori prosperano, indisturbati e nascosti alle autorità. A tal proposito, di recente il presidente della sezione giurisdizionale della Corte dei conti per la Calabria, Mario Condemi ha dichiarato: “Il fenomeno trova fertile terreno in contesti normativi ed amministrativi fragili, con l’ausilio di una burocrazia che si sente legittimata e protetta certamente da imperfette disposizioni e/o superfetazioni normative”.
I cattivi esempi. Non c’è dubbio, è anche una questione di cultura. Ma la cultura – o per meglio dire il costume – in qualche modo viene insegnata, viene trasmessa. Gli esempi sono i principali vettori della trasmissione di valori. Ebbene, gli esempi dai quali i giovani di oggi e di ieri hanno attinto non sono positivi. Un riferimento a caso: la politica. Venti anni dopo Tangentopoli non è cambiato nulla, si corrompe come prima. Forse, addirittura peggio. I messaggi che vengono veicolati sono devastanti. Il peggiore? Che per fare carriera tutto sia permesso, anche rubare. E, anzi, forse è addirittura conveniente.
Giuseppe Briganti