Raffaele Cantone è il commissario per l’Autorità Anti-Corruzione. Nominato a giugno, anche in seguito ai noti fatti dell’Expo, vanta un curriculum di tutto rispetto incentrato sulla lotta contro la criminalità organizzata – soprattutto Camorra. In un’intervista recente pubblicata su EcoMonitor (blog di informazione economica) ha parlato ampiamente del rapporto tra crescita economica e criminalità, con un occhio di riguardo per la corruzione. Molto interessante la parte in cui spiega quali sono i canali attraverso cui la corruzione frena l’economia. D’altronde, non è nuova la tesi secondo cui il principale responsabile della crisi in Italia è la corruzione. In questo periodo caratterizzato dal ritorno della recessione, il tema non può che ritornare in auge.
Cantone, nella sua esposizione, fa di tutto per privare il dibattito di quel manto di banalità che, spesso, ha impedito che alle parole – e alle denunce – seguissero i fatti. La sua trattazione non parla di individui, ma di meccanismi e – aspetto senz’altro positivo – di soluzioni.
Il primo canale che, secondo Cantone, permette alla corruzione di frenare l’economia è il disincentivo agli investimenti esteri. In quest’epoca, contrassegnata da una globalizzazione sempre più spinta e da un ruolo sempre più incisivo dei mercati emergenti, crescere vuol dire anche – e forse soprattutto – riuscire ad attrarre capitale straniero. Le grandi liquidità, infatti, sono ora in mano a colossi come la Cina, la Russia e l’India. Ebbene, la corruzione priva l’Italia di questa risorsa. Il Bel Paese non attrae come dovrebbe perché gli stranieri sono convinti che per fare impresa “da noi” occorra pagare le tangenti – certo a pesare è anche la questione della burocrazia.
Il secondo canale è rappresentato dalla messa in secondo piano della meritocrazia. In un sistema corrotto, quale è – almeno parzialmente – quello italiano, i posti chiavi nella burocrazia come anche nel tessuto privato sono occupati non dai più bravi e meritevoli, ma dai più furbi. Da chi, attraverso la propria rete di conoscenze e lo scambio di favori, è riuscito a raccogliere attorno a sé un consenso utile a scalare le gerarchie. Se a decidere, e a fare, non sono i più competenti, si producono scelte sbagliate o – peggio ancora – individualistiche, e l’economia non gira come dovrebbe.
Il terzo canale è forse quello che genere lo sconforto maggiore: l’emigrazione. No, non stiamo parlando degli immigrati che arrivano in Italia ma di coloro che, dall’Italia, se ne vanno. Cantone risfodera il vecchio tema della “fuga dei cervelli” e assegna la responsabilità di questo fenomeno proprio alla corruzione. Si può dire che l’emorragia di eccellenze sia causata dallo scenario che i primi due canali producono: necessità di utilizzare strumenti disonesti per fare carriera e assenza di meritocrazia. Chi ha qualche competenza preferisce andarsene dall’Italia perché sa che in patria non potrà avere spazio. Sicché il Bel Paese si priva ogni anno di gente brava e onesta. La corruzione, secondo Cantone, “costituisce un formidabile incentivo all’emigrazione di coloro che intendono basare il loro successo professionale solo su capacità e impegno, su meriti e titoli acquisiti”.
L’analisi di Cantone non si limita all’aspetto descrittivo e sfocia, fortunatamente, in una discussione circa gli strumenti attraverso cui è possibile abbattere il fenomeno della corruzione. L’idea del commissario si dirama in due “tattiche”. La prima consiste nel trattare i corrotti come i mafiosi: da un lato si appesantiscono le pene, dall’altro però si crea un sistema in cui viene favorita la collaborazione con lo Stato. Ovviamente, in questo caso si parla della concessione di benefici ai pentiti.
L’altra tattica prevede l’utilizzo sempre più capillare degli agenti provocatori. Come accade già per i reati quali lo spaccio di sostanze stupefacenti, il corruttore potrà essere stanato da un infiltrato che simulerà un accordo con il reo. Il tutto, ovviamente, coadiuvato delle autorità giudiziarie.
– Giuseppe Briganti