Che i conti all’estero non si trovino non vuol dire che non ce ne siano. Ma, se non si trovano, c’è il rischio che dobbiamo finire tutti per credere che non ci siano e quindi una indagine potrebbe finire archiviata. Il discorso vale per Filippo Penati, ex presidente della Provincia di Milano ed ex segretario di Bersani a processo a Monza per corruzione e finanziamento illecito ai partiti in seno al cosiddetto Sistema Sesto. Il politico, che adesso si è dedicato alinsegnamento per gli stranieri e alla letteratura (è in uscita il suo romanzo noir “La Casa dei Notai” ed. Robin) continua a confermare di non avere soldi all’estero. In particolare la presunta maxi tangente quantificata in 20 milioni di euro, derivata dalla plusvalenza da 176 milioni di euro realizzata per la compravendita delle azioni della Milano Serravalle da parte della Provincia da Marcellino Gavio al prezzo sovrastimato di ogni azione che da 2,3 era stata acquistata a 8 euro. Eppure il grande accusatore del cosiddetto Sistema Sesto Piero Di Caterina aveva parlato chiaro ai magistrati monzesi Walter Mapelli e Franca Macchia che lo interrogavano sui finanziamenti alla politica e in particolare al Pd lombardo di Penati e di Sesto San Giovanni. «È stato Giordano Vimercati, ex braccio destro di Penati, in un momento di rottura con il leader del partito lombardo a causa del mancato affare sulla Serravalle a dirmi che i soldi di Penati sono in parte in Romania, Sudafrica, Dubai e a Montecarlo». I magistrati monzesi, quando hanno aperto (e non ancora chiuso) quel filone dell’inchiesta che riguarda proprio la sospetta compravendita delle azioni dell’autostrada, ad agosto del 2011, hanno dichiarato di avere intenzione di indagare su quelle dichiarazioni di Di Caterina e di voler far partire rogatorie internazionali in quei Paesi. Ma è difficile. Parecchie aspettative suscitano le rogatorie inoltrate in Romania e a Montecarlo e a Dubai, Paesi in cui si sospetta possano esser finiti i soldi. Certo è che il tempo stringe, le indagini non potranno protrarsi ancora per molto. Non dovesse emergere alcun elemento in grado di sostenere definitivamente l’ipotesi investigativa, la Procura non potrà far altro che archiviare – come peraltro è più che giusto. Walter Mapelli, il pm che più di tutti ha indagato sulla faccenda, lo dice chiaro: «Io mi devo attenere alle risultanze, e se non trovo i soldi non posso andare lontano». Di indizi gli inquirenti ritengono d’averne raccolti parecchi. I due milioni versati al grande accusatore Piero Di Caterina, con la scusa di un’operazione immobiliare fittizia, da una società di Gavio e nell’interesse di Penati, da cui lo stesso Di Caterina reclamava la restituzione – e questa, secondo l’ipotesi iniziale dei pm, potrebbe essere una “traccia” degli accordi illeciti fra Gavio e Penati derivanti proprio dall’operazione Serravalle. E poi le riunioni, svelate a Di Caterina dal collaboratore di Penati Antonino Princiotta, tenute nello studio dell’inizialmente fantomatico commercialista «Ferruccio di via Pontaccio a Milano», in cui si sarebbero definiti i particolari dall’affare, mazzetta compresa – presenti i collaboratori di Penati Renato Sarno, Giordano Vimercati e lo stesso Princiotta, insieme con Bruno Binasco, dirigente di primo piano del gruppo Gavio, e Maurizio Pagani, manager di Banca Intesa, istituto che fornì alla Provincia i soldi necessari (inizialmente questo «commercialista Ferruccio» non si trovava, poi è stato identificato in Ferruccio Piantini, consulente finanziario che assistette una delle società di Gavio nell’operazione, e comunque ha negato gli incontri). E poi le perizie disposte dalla Provincia e consegnate dopo che l’affare s’era già chiuso, e l’assurda corsa sul filo delle ore per cambiare le ragioni sociali delle società coinvolte, spesso in spregio di regolamenti e buon senso. Indizi, sospetti. E i pm restano convinti che siano due, i personaggi centrali della vicenda, i professionisti di collegamento. Uno è il già citato Renato Sarno, vero uomo-ombra di Penati per anni, noto architetto e collettore di consulenze: per dire, fra il 2005 e il 2009, dopo che la Milano Serravalle era stata acquisita dalla Provincia di Penati, incassa dalla società due milioni per le sue prestazioni. D’altra parte, ha lavorato e parecchio anche Gavio – in particolare per la società Sina, a cui ha fornito consulenze pure lautamente retribuite. L’altra figura è quella di Matteo Rocco, anch’egli indagato per concorso in corruzione (come Sarno, Penati e tutti gli altri), all’epoca dirigente della filiale di Lugano della San Paolo Suisse Bank (gruppo Intesa) proprio quando i ricavi delle due società di Gavio Astm e Sias derivanti dall’affare Serravalle furono trasferiti in quella banca, e poi passato nel consiglio di amministrazione della Astm – dunque alle dipendenze del gruppo stesso. In particolare, la Procura di Monza ha analizzato movimenti bancari per oltre cinque milioni di euro, segnalati come sospetti anche dalla Banca d’Italia. Ma siam sempre lì: indizi, sospetti, ipotesi. Non bastano: manca la prova per affermare che la tangente effettivamente ci fu. Non è davvero particolare da nulla.
Da Libero del 01/10/2013