Tra tutti i reati, ce n’è uno che, per sua stessa natura, riesce a sfuggire alle maglie della giustizia. E’ il reato di corruzione. La tipologia a cui afferisce è quella del reato-contratto. Il nome dice tutto. Quando avviene un episodio corruttivo, non si prefigura una vittima. Nessuno dei partecipanti al “delitto” ha interesse a denunciare perché, in fondo, entrambi traggono beneficio dal crimine stesso. Il corrotto riceve denaro, il corruttore un favore. Nella stragrande maggioranza, appalti. E’ questo lo schema di Mafia Capitale ma cheappartiene anche a tutti quei fenomeni che hanno compromesso la regolare vita della Cosa Pubblica.
Lo ha detto il presidente dell’ente anti-corruzione Cantone qualche giorno fa in un talk show: non ci sono testimoni quando si corrompe. La tangente non viene liquida con un bonifico o di fronte a terzi. L’unico strumento affinché si possa far emergere il marcio è la collaborazione di uno dei due contraenti del patto corruttivo.
Per quale motivo il corrotto o il corruttore dovrebbero collaborare con la giustizia? A tal proposito, risultano utili due elementi di deterrenza. Il primo è la certezza, o la convinzione che le possibilità sono alte, di essere puniti. Nella migliore dei casi si previene del tutto il reato. Nella peggiore dei casi, quando uno dei rei avverte il pericolo di pagarla cara, parla, collabora patteggia. Il secondo elemento è l’incentivo al patteggiamento caratterizzato da ricchi sconti di pena. Un Governo che voglia combattere la corruzione dovrebbe quindi utilizzare queste leve. Ricordiamo, il fine ultimo è la collaborazione di uno dei due corrotti (o corruttori). Sia chiaro, le intercettazioni vanno più che bene, ma da sole non bastano. E comunque sono più indicate per far emergere in prima battuta delle anomalie nei consueti scambi (politici o commerciali che siano). Rappresentano una base, ma i processi di portano a termine con le testimonianze.
Spiace dirlo, ma Renzi sta andando proprio nella direzione opposta. Sta aumentando le pene, anche in caso di patteggiamento. Non si tratta di incompetenza, ma di puro calcolo politico. Anzi, elettorale. L’obiettivo non è la risoluzione del problema ma solo il consenso presso il pubblico. Come è evidente, fa più clamore dire “faremo pagare duramente i crimini ai corrotti”, piuttosto che spiegare alla gente l’utilità del pattegiamento.
Questo è un approccio che è stato ampiamente criticato dall’Anm (Associazione Nazionale Magisrati). La lotta tra partiti e magistratura, dunque, si arricchscedi un nuovo capitolo.
“I toni di indignazione che la politica intera ha levato all’esplodere dell’ennesimo gravissimo scandalo stridono con la debolezza delle annunciate proposte governative”. E’ questo il commento di Roberto Sabelli, presidente dell’Anm.
Una critica è stata rivolta non solo all’approccio legislativo ma anche politico e comunicativo. Renzi & co. si sono stupiti e indignati quando hanno preso visione del marcio a Roma. Tutta questa indignazione, più che una dichiarazione di intenti, è un tentativo di porre in secondo piano la questione della riforma sulla giustizia.
Il tono di Sabelli, qui, è sferzante e lapidario.
“La politica sembra oggi accorgersi improvvisamente di quei guasti che noi con abbiamo segnalato da anni. Oggi i toni indignati vorrebbero rimediare alla debolezza delle riforme, peraltro in larga parte piu’ annunciate che realizzate”.
Giuseppe Briganti