di Laura Marinaro
«In Italia non c’è certezza della pena». Una frase che ormai è diventata un luogo comune. Ma se a pronunciarla è un magistrato, in particolare un sostituto procuratore, fa ancora più rabbrividire. Ed è stata questa frase a colpirmi durante l’incontro, organizzato dal Comune di Varedo venerdì 8 novembre, sul tema corruzione, al quale ho partecipato come coautore con Piero Di Caterina del libro Il Sistema Corruzione e come protavoce di CosaPubblica. A pronunciarla è stato Salvatore Bellomo, sostituto procuratore di Monza da oltre un ventennio impegnato in importanti indagini su mafia e corruzione nel territorio. «Purtroppo in questo Paese non c’è certezza della pena e spesso il nostro lavoro viene vanificato in sede di giudizio – ha detto il magistrato – ma questo non ci impedisce, se vogliamo, di indagare e di combattere con le armi che possediamo il fenomeno della corruzione.
Anche al di là del passaggio della mazzetta che oggi non esiste praticamente più». Un’affermazione fondamentale. È vero, oggi è diventato sempre più difficile combattere la corruzione, soprattutto a livello di pubblica amministrazione, perché le cosiddette mazzette vengono celate in procedimenti che – come ha confermato lo stesso Bellomo – «dal punto di vista formale e amministrativo sono perfetti, ma che possono nascondere un accordo corruttivo tra funzionario o politico e privato, vedi gli appalti». E la lotta è diventata difficile anche perché è fondamentale dimostrare il vantaggio patrimoniale, ma anche perché i mezzi e il personale sono ridotti all’osso. Ma la speranza ci deve essere. Ed è nel patto di sangue che magistratura e forze dell’ordine buone devono stringere con i cittadini. Un patto possibile prima di tutto se i cittadini comprenderanno bene i meccanismi della corruzione, e poi se l’amministrazione della cosa pubblica diventerà trasparente al 100 per cento davvero. Io credo che questo concetto deve essere metabolizzato da tutti. E lo credo doppiamente dopo la serata di venerdì. Vi spiego il motivo. Malgrado ormai da tempo cerchiamo, quando siamo in giro con il nostro libro, di far comprendere che i meccanismi della corruzione sono cambiati e che non è facile denunciare, anzi è difficilissimo, la gente dimostra di non aver ben compreso. E quindi in questo modo si pretende la salvezza del mondo dalla magistratura, o da noi giornalisti. Denunciate, è vero, ma fatelo se avete almeno contezza che sia stato commesso un crimine. Non solo perché non vi è stata data una risposta. Bellomo lo ha spiegato chiaramente: purtroppo la magistratura ha ridotto al lumicino la possibilità di prevenire, ma agisce quando il reato è già stato commesso. E solo se c’è una notizia di reato su cui indagare la Procura approfondisce un esposto, possibilimente non anonimo. «Se ha dubbi o certezze che quel tal funzionario ha commesso un reato io sono qua, anche stasera, e posso prendere una denuncia», ha risposto il magistrato ad un cittadino che dal pubblico chiedeva come mai non si è agito nei confronti di un funzionario responsabile di un presunto abuso amministrativo. C’è la parte amministrativa e quella penale, attenzione.
«Vi assicuro che se si vuole andare avanti in un’indagine in maniera sistematica, anche applicando le tecniche investigative dell’antidroga, con intercettazioni e appostamenti, si può scoperchiare un pentolone – ha confermato Bellomo – e anche se ci sono da fare inseguimenti e non si hanno le auto a disposizione, come è accaduto in Infinito, per me non bisogna gettare la spugna: seguiamoli anche in bicicletta!» Una speranza dunque c’è eccome. Malgrado le leggi e le risorse scarse cerchino di azzoppare i magistrati d’accusa. Poi c’è la magistratura giudicante sulla quale bisogna per forza confidare, altrimenti è finita la democrazia.
13/11/2013