Tangentopoli, come tutti sanno, è scoppiata nel 1992. Quell’anno però sancisce semplicemente la scoperta del corruzione nei partiti. Le malefatte accadevano già da qualche decennio. Anzi, fin dagli albori della Repubblica. Certo, magari le tangenti rappresentavano ancora un’eccezione e non la norma, ma i primi episodi di finanziamento illecito ai partiti sono datati anni Cinquanta. Uno, addirittura, si è verificato nel 1947. Ha coinvolto due politici della Democrazia Cristiana e ha, all’epoca, destato molto stupore. Salvo poi diventare un modello per tutte (o quasi) le formazioni politiche.
Febbraio 1947. Lo scenario politico è in fermento. C’è un Italia da ricostruire ma anche una profonda divisione da sanare. Nel nostro piccolo, infatti, si replica lo scontro della guerra fredda incipiente. Sicché va compiuta una scelta: con gli Usa o contro gli Usa? La decisione non è scontata: i socialisti e i comunisti dopo la Resistenza hanno acquisito grande credito. La Democrazia Cristiana, ovviamente, protende per gli Stati Uniti. Dunque, per attaccare il patto Italia-Usa (al tempo solo probabile) si doveva attaccare la Dc. Una strategia sostenuta soprattutto da Finocchiaro Aprile, leader del Movimento per l’Autonomia della Sicilia.
Gli uomini a lui più vicini, amministratori di un apparato di “intelligence” efficiente (il partito era quasi un’organizzazione paramilitare) avevano preparato un dossier sulle ruberie dei democristiani, con tanto di numeri e di nomi.
Arriva il giorno in cui Finocchiaro decide di denunciare tutto al Parlamento. Il documento però non arriva, se non all’ultimo, sicché la sua arringa – improvvisata per prendere tempo – rischia di far calare l’attenzione.
Ad ogni modo, l’autonomista sicialiano riesce a mettere nei guai la Democrazia Cristiana. Diffonde il contenuto del dossier. Un contenuto che si rivela sorprendente, e lo sarebbe stato anche a sessant’anni di distanza. Episodi di corruzione, importanti figure coinvolte, un sistema di finanziamento che – per quanto agli albori – appare già ben rodato.
Due storie colpiscono più di altre. La prima ha come protagonista Pietro Campilli (ministro delle Finanze e del tesoro) ed Ezio Vanoni (ministro degli Esteri e del Commercio). Il primo ha speculato in borsa, il secondo ha ricevuto la classica “mazzetta” al tempo in cui al ministero lavorava solo da funzionario. A fare meraviglia è soprattutto la sua giustificazione: “ho trattenuto solo un terzo delle somme, il resto l’ho dato al partito”.
Ecco, in questa frase è il germe di Tangentopoli. Gli ingredienti ci sono tutti: il sistema misto profitto personale-profitto per il partito, la consapevolezza di non fare nulla di sbagliato, il sodalizio con gli imprenditori corruttori.
I due corrotti si salveranno. O, meglio, una commissione li interdirà per incarichi che vadano oltre il semplice parlamentare, ma non saranno sbattuti fuori dal Parlamento. Decisivi i comunisti e i socialisti, che non si ribellarono a un trattamento così morbido. Questione di strategia politica: la Dc stava per siglare un patti con gli Stati Uniti e questi prevedeva l’esclusione di tutte le forze di sinistra dalla vita di governo. Quel favore, nemmeno tanto implicito, rappresentava quindi un tentativo di supplica.