Nonostante le dichiarazioni di qualche politico indulgente, l’evasione fiscale è raramente di “sopravvivenza”. Chi evade le tasse lo fa spesso per arricchirsi, non per riuscire a sopravvivere o per pagarsi semplicemente da mangiare. Da qui l’equazione – magari esagerata – “ricchezza uguale rischio evasione” appare scontata. E quando ci si chiede in quale ambiente i singoli godano di reddito esorbitanti la risposta non può che essere il mondo del calcio. Sono tanti i calciatori, anche molto famosi, coinvolti in processi per evasione fiscale. Nell’ultimo anno, sono spiccati i casi di Messi, Cannavaro, Kakà.
Il caso Messi è sicuramente quello più importante dal punto di vista delle dimensioni. Il caso è noto. Il padre del campione argentino, che è anche il suo agente, ha omesso di dichiarare i proventi dei diritti di immagine di suo figlio dal 2007 al 2009. Il mancato gettito per le casse spagnole è stato di 4 milioni di euro. Messi ha cercato di convincere i giudici che lui era all’oscuro di tutto, ma è stato stabilito che “non poteva non sapere”. Anche perché l’intenzionalità da parte del giocatore sarebbe provata dal particolare meccanismo del sistema messo in piedi (cessione dei diritti a una società fittizia, sita in un paradiso fiscale).
Ad ogni modo, nella migliore delle ipotesi, Messi dovrà pagare una multa salatissima: da due a sei volte la cifra non resa al fisco.
Simile è il caso di Kakà. L’ex campione del Milan (ora al San Paolo) avrebbe utilizzato lo stesso sistema di Messi. Al centro, il solito problema: il pagamento delle tasse sui diritti di immagine. Anche il brasiliano avrebbe utilizzato una società “schermo”, situata in un paese a bassa tassazione, per ridurre palesemente il prelievo fiscale. Il condizionale è d’obbligo, dal momento che il processo è ancora in corso. I numeri, però, sono abbastanza certi, a tal punto che l’Agenzia delle Entrate non si è costituita parte civile: l’entità del contenzioso è stato giù definito. Nello specifico, si parla di due milioni di euro.
Un po’ più complicato il caso di Fabio Cannavaro. Il giocatore e la moglie avevano noleggiato delle barche di lusso per le loro vacanze ma, stando alla legge, ne avrebbero fatto uso come legittimi proprietari. Il noleggio avrebbe rappresentato un sistema per evitare di pagare le tasse sulla proprietà, che sono piuttosto salate. L’entità della frode (non si può parlare ufficialmente di evasione) corrisponderebbe a 900 milione di euro, che è il valore dei beni sequestrati a ottobre dalla Guardia di Finanza alla famiglia Cannavaro.
Il tema che, dal punto di vista morale, accomuna questi tre casi è quello della consapevolezza. Premesso che il fatto di essere stati a conoscenza o meno del fatto non alleggerisce le responsabilità individuali dei calciatori, va considerato il potere di cui spesso i procuratori godono. Da questa prospettiva, appare emblematico il caso di evasione fiscale forse più famoso della storia del calcio: il contenzioso tra Diego Armando Maradona ed Equitalia. I processi sono finiti da un pezzo, occorre riscuotere, ma il giocatore dà ancora le colpe ai suoi agenti, sottolineando la sua determinazioni con gesti poco nobili (“l’ombrello” in diretta Tv a “Che Tempo che Fa”).
Giuseppe Briganti