La storia non si fa con i se e con i ma. Questo lo sappiamo tutti. Eppure possiamo cercare di capire cosa abbiamo perso non intraprendendo una determinata strada o facendo una scelta piuttosto che un’altra. Un ottimo modo per farsi venire i rimpianti ma anche per imparare dai propri errori.
Il CsC (Centro Studi di Confindustria) ha fatto un esercizio di questo tipo. Ha ipotizzato che dopo Mani Pulite in Italia fosse realmente cambiato qualcosa e poi ha immaginato l’Italia del 2014. Questa “traccia” parte da un presupposto, che è poi una verità quasi conclamata. Con l’esplosione di Tangentopoli l’Italia ha perso una grande occasione. Il clima era favorevole per sconfiggere una volta per tutte la corruzione o almeno indebolirla fortemente. Sotto tutti i punti di vista (giudiziario, politico, culturale) i tempi erano maturi per la svolta. E invece si è rivelato un clamoroso buco nell’acqua. Non le indagini, che hanno spazzato via il marcio con il massimo del vigore che, in una democrazia compiuta, la magistratura può permettersi di fare. A fallire è stata la politica o, meglio, è riuscita nell’intento di cambiare tutto per non cambiare nulla. Gattopardescamente, ha indossato la maschera del cambiamento ma ha lasciato immutata la sostanza. Non c’è nemmeno bisogno di scomodare prove a riguardo: Mafia Capitale è il simbolo della corruzione in politica. Altro che Mani Pulite.
Ad ogni modo, come sarebbe oggi l’Italia se a Mani Pulite fosse seguito un reale rinnovamento nel senso della lotta alla corruzione? CsC non si spinge molto lontano. Semplicemente ammette che un obiettivo possibile, all’epoca, era fare bene quanto la Francia. Né più né meno. Sarebbe bastato il taglio di un punto nell’indice Control of Corruption.
Se lo avessimo fatto, oggi il Pil dell’Italia sarebbe di 300 miliardi superiore. Ed è una stima in difetto, perché non sono stati presi in considerazione i benefici, in termini di concorrenza e di meritocrazia, derivati da una riduzione del fenomeno corruttivo. Ogni anno, se ci fossimo allineati alla Francia, avremmo guadagnato lo 0,8% del Pil. E’ come regalarsi una crescita moderata tutti gli anni.
Anche perché uno dei danni peggiori che la corruzione arreca all’economia è l’allontanamento degli investitori esteri. L’obbligo – per prassi – di pagare le tangenti è un deterrente formidabile per gli investimenti. Sempre secondo Confindustria, il 52% dei manager stranieri che ha lavorato in Italia ha trovato che la corruzione fosse peggiore di quanto addirittura si aspettasse. Possiamo giurarci che, una volta tornati in patria, non ci abbiano fatti una grande pubblicità.
Dunque, cosa fare? Il CsC propone un intervento dello Stato, ma nelle vesti di consulente e sostenitore. Una giusta via di mezzo tra prevenzione e cura del male.
“Vanno creati nelle associazioni uffici dell’etica e della legalità che possano assistere soprattutto le piccole e medie imprese sia nel loro percorso di governance sia nei casi di crisi aziendali correlate a fenomeni di illegalità”.
Giuseppe Briganti