A Gustavo Zagrebelsky, attivista del rispetto ai dettami costituzionali, è stato chiesto cosa bisognerebbe pensare quando si apprende degli scandali sui concorsi truccati all’Università. Il professore ha affermato che nelle Università italiane c’è un “ineliminabile aspetto di cooptazione. Naturalmente, quella che dovrebbe essere cooptazione dei migliori può degenerare in corruzione. La linea di confine è labilissima. Anche se, oltre un certo limite lo scandalo diventa evidente”. Un’affermazione che fa pensare. In seguito il professore si è augurato “che quella linea di confine non venga mai superata”. Stupefacente! Siamo alle solite. Si vuol combattere la corruzione, pretendendo trasparenza nel campo degli altri ed escludendo il proprio. Arrivando a legittimare pratiche di esclusività con la nobiltà della scienza. Sfugge al professore, che l’Università è un bene comune e l’accesso alla stessa deve garantire le condizioni di massima parità, attuata nelle più verificabili condizioni di trasparenza. Parità, non uguaglianza. È ovvio che i migliori debbano essere preferiti, ma le qualità devono sempre essere accertate in sede pubblica e concorsuale. Altrimenti i cooptati potrebbero averle dimostrate sotto le lenzuola, o facendo della buona collaborazione domestica, le qualità. O in maniera più vile, facendo mettere a papà le mani al portafogli. Le cronache ormai ci hanno abbondantemente illuminati su queste pratiche illegali, anche se la puzza nel mondo universitario ci soffoca anche al buio. La cooptazione è corruzione già quando nasce, e non solo se si supera un certo limite. Caro professore. Salvo scriverla nelle regole del gioco. E se la si vuole giustificare in ambito scolastico, perché non ammetterla in politica, o negli appalti, o in qualsiasi campo pubblico dell’agire umano? È chiaro che il professor Zagrebelsky potrebbe essere convinto che una scelta attuata in autonomia e riservatezza potrebbe garantire il massimo. Ma in democrazia bisogna rinunciare a queste convinzioni, e soprattutto quando ci si trova in Italia, dove ormai siamo nel guano fino al collo. In democrazia tutti devono partire per la corsa alla scalata sociale dagli stessi blocchi di partenza. E le regole della partita devono essere chiare e uguali per tutti. E se si deve rinunciare a ciò che per un luminare sarebbe la migliore scelta, pazienza. È un prezzo da pagare accettando il miglioramento a seguito di opportunità casuali. Sì, in democrazia, nella gestione del bene comune, la cooptazione è corruzione. E la corruzione nasce anche nel ventre di colui che vuole sempre, e solo, le visite di controllo dall’ostetrica per le altre gravide e non per il proprio pancione.
Piero Di Caterina
Presidente di CosaPubblica
08/10/2013