Se c’è un vero esperto di mafia tra le persone oneste, quello è Nicola Gratteri. Ha speso, e sta spendendo, il massimo impegno per contrastare la Ndrangheta in Italia. Mettendo continuamente in pericolo la sua stessa vita, non solo ha contribuito a smantellare pezzi importanti della presenza mafiosa, ma ha anche fatto luce su quel mondo così oscuro eppure tanto in grado di condizionare la vita del Paese.
Interessante è il ritratto che Gratteri spesso fa del rapporto tra mafia e politica. Un rapporto che anche l’immaginario collettivo ha imparato a riconoscere come una realtà con la quale occorre fare i conti. I cattivi per definizioni si mischiano continuamente con i buoni, almeno sulla carta, ossia le istituzioni. Fino a formare una strana amalgama che disorienta, dal momento che non si capisce dove finisce la mafia e dove inizia la politica.
Secondo Gratteri il rapporto tra questi due mondi è caratterizzato da un capovolgimento di ruoli, per giunta abbastanza recente. Ciò risulta evidente dalle parole che ha pronunciato all’Università di Siena, durante un convegno su legalità ed economia.
“Le mafie oggi sono piu’ arroganti di 20 anni fa perché sono più ricche. Allora erano i mafiosi che andavano a trovare i politici con il cappello in mano, oggi invece sono i politici che vanno a casa dei mafiosi per chiedere voti in cambio di appalti”.
Il potere contrattuale delle cosche è aumentato perché è aumentato il loro potere economico. Soprattutto in un conteso di impoverimento progressivo e di assenza dello Stato, le mafie occupano il territorio e propongono, in pieno stile “patto con il diavolo”, un surrogato di servizi, da pagare ovviamente a caro prezzo. Quel prezzo coindice, tra le altre cose, con la libertà di voto. E’ questo il motivo per cui i mafiosi hanno a disposizioni pacchetti di voti tali da fare gola ai politici.
Sulla scorta di queste convinzioni, Gratteri ha formulato una riforma della giustizia. L’ha inoltrata al Governo a fine novembre. In questa, risulta evidente il principio di fondo: per sconfiggere le mafie occorre recidere il cordone che le lega alla politica. E’ proprio quel cordone che le dona forza e che sostanzia l’influenza diretta della criminalità organizzata nella vita pubblica.
Come fare? Il magistrato calabrese ha le idee piuttosto chiare.
Innanzitutto bisogna agire sul voto di scambio. Lo stato attuale della legislazione non è sufficiente a prevenire questo tipo di reato. In particolare, a rendere difficoltoso il lavoro della magistratura è la clausola – inserita nell’articolo 416 ter – secondo cui la punibilità scatta solo quando il mafioso procura voti con metodi violenti e intimidatori. In secondo luogo, occorre inasprire le pene per i mafiosi in generale. E’ necessario che il mafioso sappia che i costi – o meglio i rischi – legati all’attività mafiosa sono di gran lunga superiore ai benefici. Ad oggi, se non scatta il 41-bis, lo ndranghetista di turno, con l’aiuto di un buon avvocato, può ritornare in pista dopo pochi anni di carcere.
Questo perché gli anni di reclusione per il reato di associazione mafiosa vanno da 9 a 12. Gratteri propone un adeguamento in direzione del reato di l’associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti, che è punito con almeno 20 anni.
Giuseppe Briganti