Il libro di Massimo Ciancimino, “Don Vito”, in cui racconta le vicende criminose di suo padre, è una miniera d’oro di informazioni. Utili non solo a rendere consapevole la cittadinanza sul contenuto delle indagini, ma anche a restituire la cifra di quello strano personaggio che fu Vito Ciancimino, collante tra Mafia e Stato, il cui potere effettivo andava ben oltre le prerogative date dalle sua posizione politica.
Un esempio di ciò è dato in particolare da un paio di episodi che Massimo racconta nel suo libro e che si incentrano sul rapporto tra Vito e la magistratura. Rapporto che sfociò spesso in sfida, combattuta in certi casi da Giovanni Falcone. In uno di questi “match” a vincere fu l’ex sindaco di Palemo. Il quale, sia chiaro, giocava sporchissimo: un po’ come l’arbitro che fischia un rigore che non c’è, gli amici che Ciancimino aveva nelle istituzioni lo aiutarono spesso a uscire indenne dalle manovre dei magistrati.
Falcone aveva scoperto i rapporti tra Ciancimino e l’Ubs, testi al riciclaggio del denaro sporco. Il “riciclo” consisteva spesso nell’acquisto di immobili all’estero, alcuni dei quali in Canada. Il magistrato-eroe era riuscito anche a tracciare gli spostamenti del prestanome Michael Pozza a Palermo, città nella quale soggiornò grazie al sostegno economico di Ciancimino.
Falcone stava per ordinare il sequestro degli immobili ma fu beffato all’ultimo momento. Causa della beffa fu una “spia”, ossia un uomo di Ciancimino che, venuto a conoscenza delle intenzioni del magistrato, riuscì ad avvertire per tempo il vero proprietario degli immobili. Questi vendette tutto in fretta e furia, in modo da non ricevere danno dall’ordine di sequestro. Così fu: Ciancimino sconfisse Falcone – almeno in questa fattispecie.
La spia risponde al nome di Gianni Sciacchitano, Pubblico Ministero di Palermo. Un altro fatto riguarda l’indagine “Mafia e Appalti”, in cui rischiava di essere coinvolto anche Vito Ciancimino. Siamo alla fine degli anni ’80, e l’ex sindaco di Palermo è già confinato in Molise, per la precisione a Rotello.
Se le indagini si fossero svolte secondo le previsioni, un gran numero di immobili di Ciancimino sarebbero stati sequestrati proprio a causa della loro origine illecita. Ci si doveva muovere in fretta, se si voleva evitare il sequestro.
Vito entrò prima in contatto con il mafioso Lo Verde ( nome con cui si faceva chiamare solitamente Bernardo Provenzano ) Lo scopo era assicurarsi il favore dei commercialisti che avrebbero dovuto realizzare la perizia sui beni da sequestrare. I tempi, però, erano cambiati. Il rapporto tra Mafia e Stato era degenerato, la collaborazione di un tempo era nella maggior parte dei casi solo un ricordo. Tutti avevano paura di rivolgersi a esponenti delle istituzioni. Tale paura portò a una sorta di razionalizzazione delle relazioni. Poche persone dovevano parlare a nome di tanti. Uno di questi “pochi” era Masino Cannella. Questi rassicurò Ciancimino e gli rivelò che c’era una strada sicura. Questa comportava “l’utilizzo” del commercialista De Miceli, noto per i suoi legami con la Massoneria e con alcuni pezzi delle istituzioni.
Il risultato arrise a Ciancimino: a realizzare la perizia fu lo stesso De Miceli, che testimoniò l’origine legale delle proprietà dell’ex sindaco di Palermo. Questo episodio certifica il potere che Don Vito possedeva anche in quel periodo estremamente difficile per lui.
Giuseppe Briganti