Parla il magistrato Walter Mapelli: «La corruzione ora è più sfacciata: s’è toccato il fondo»

di Dario Crippa da il Giorno

È UNO dei magistrati più noti di Monza. Nelle sue mani ci sono inchieste scottanti, come quella sull’Autodromo di Monza o sull’ex sindaco di Sesto San Giovanni ed ex uomo forte del Pd, Filippo Penati. Monzese doc, ex dipendente della Sip (principale azienda di telecomunicazioni italiana fino al 1994), è entrato in Magistratura nell’85 vincendo, al primo colpo, un concorso.
«Mi ero laureato in Giurisprudenza e l’unico modo per restare a Monza era entrare in Procura… e così sono diventato pm per caso: allora sparavano ai magistrati, erano gli ultimi anni del terrorismo. Feci un tirocinio lunghissimo con Francesco Greco e la giovane Ilda Boccassini, al pomeriggio studiavo con Piercamillo Davigo e Ciccio Di Maggio (accusato della presunta trattativa Stato-mafia, ndr)».

Perché scelse di fare legge?
«Mia madre voleva che facessi il notaio per guadagnare di più ma non mi piaceva e non pensavo di essere adatto a fare l’avvocato: la magistratura mi sembrava una scelta di lavoro più conforme ai miei studi. E la mia esperienza in una grande azienda come la Sip mi ha aiutato, soprattutto a livello gestionale».

Fare il Pubblico ministero significa avere potere?
«I Pm oggi hanno meno potere di una volta. Una volta scrivevamo “Noi ordiniamo la cattura…», con il “plurale maiestatis”: ora invece si scrive, com’è giusto che sia, “chiediamo al giudice”…».

La verità di un delitto è in mano ai magistrati?
«La verità è sempre una cosa difficilissima da ricostruire, la conosce solo chi ha commesso un reato, ma la sua è una verità comunque parziale. Il processo è uno strumento per arrivare alla verità, ma hai un finale obbligato, colpevole o non colpevole: devi narrare una storia per arrivare a un risultato secondo canoni di costruzione del racconto ben precisi, quelli fissati dal codice».

Dorme sempre bene prima di un processo?
«Dormo sereno, magari preoccupato perché non si è mai sicuri… ma di solito so di aver fatto un lavoro scrupoloso. E poi anche di notte, mentre dormo, penso…».

Berlusconi dice che i magistrati sono una casta di potere.
«Io sono la dimostrazione che Berlusconi sbaglia: sono iscritto a Magistratura Democratica (corrente di sinistra dell’associazione Magistrati, ndr) dall’86 eppure sono stato bocciate tutte le mie domande di avanzamento che avevo presentato a Piacenza, Ferrara e Ravenna. Magistratura Democratica è una corrente minoritaria, se davvero fosse il direttorio della Magistratura avrei dovuto fare carriera al volo. Si dice poi che non colpisca mai il Pd e invece stiamo investigando, certo in maniera non morbida, su Penati, che abbiamo trattato come chiunque altro».

Berlusconi dice anche che siete dei pazzi.
«Il ruolo dei magistrati è delicato: la loro selezione è democratica, avviene solo per concorso, abbiamo magistrati di ogni estrazione sociale, mediamente si tratta di gente molto preparata e che ha studiato, con una storia di sacrifici e rinunce. Forse l’unico limite del magistrato è la mancanza di un’esperienza formativa diversa, perché di solito si passa direttamente dalla scuola al lavoro».

Stando alle inchieste, il problema in Italia è la corruzione.
«È un problema antico, che puoi solo cercare di ridurre a livelli accettabili. La corruzione è il tradimento di un mandato fiduciario che il pubblico dipendente ha ricevuto dalla collettività nell’interesse della comunità. Già duemila anni fa, in fondo, qualcuno ha tradito qualcun altro per trenta denari…».

Non è cambiato nulla?
«La corruzione è diventata più sfacciata e complessa: oggi l’imprenditore corruttore e il politico o il funzionario corrotto spesso sono amici e ostentano il loro legame; una volta almeno ci si vergognava. Inoltre, fra corrotto e corruttore tende a crearsi una relazione permanente e spesso i benefici sono differiti nel tempo. È un problema di proporzioni. Un tempo la corruzione più frequente era lo scambio a due, una valigetta piena di soldi per ottenere quello che serviva, e poi ognuno per la sua strada. Oggi spesso invece si affermano le squadre e le cricche in servizio permanente effettivo per arricchirsi a danno dei cittadini».

Stiamo peggio?
«Abbiamo toccato il fondo, anche se noto segnali di risalita e una maggiore attenzione da parte delle istituzioni: io stesso sono spesso chiamato a parlare di corruzione, magari nelle scuole. E poi abbiamo finalmente una legge obbligatoria per gli enti pubblici proprio per evitare la corruzione, peccato che si applichi prevalentemente ai pubblici dipendenti e non anche ai politici con funzioni di direzione dell’ente…».

E se fosse spesso solo un’operazione di facciata?
«Il rischio c’è… in fondo anche a Monza per l’appalto sui rifiuti l’impresa Sangalli aveva un protocollo per la prevenzione dei reati perfetto: lo strumento c’era ed era anche efficace ma se poi non lo applichi…».

Come combattere la corruzione?
«A lungo termine devi cominciare dalle scuole, nel medio periodo devi rendere la legalità profittevole e investire in comportamenti etici, nonché evitare il conflitto di interessi permanente; nell’immediato devi investire su repressione e valorizzazione degli esempi virtuosi».

In Brianza si è scoperto che c’è la ’ndrangheta.
«È come nel film “L’invasione degli ultracorpi”: sono in mezzo a noi, sono all’apparenza come noi, eppure non ce accorgiamo se non tardivamente… La ’ndrangheta in Brianza ha fatto il salto di qualità. Non si può più parlare di infiltrazioni come si era fatto finora, si deve parlare di una presenza diffusa, di pervasività del sistema».

La magistratura ha bisogno di una riforma?
«Stiamo vivendo una trasformazione epocale, la magistratura sta cambiando testa: stiamo passando da una magistratura come potere a una magistratura come servizio».

Dovrebbe essere normale…
«La verità è che il potere è finalizzato a perpetuarsi, mentre il servizio dà uno scopo diverso. E il potere deve essere solo lo strumento per rendere efficace il servizio».

C’è chi propone la punibilità anche per i magistrati.
«Spesso si rischierebbe di punire colui che lavora molto e su questioni complesse e non chi traccheggia e istruisce solo casi facili…».

Qual è la felicità?
«Primo Levi diceva pressapoco “fare un lavoro che si ama è una cosa che avvicina l’uomo alla condizione di felicità sulla terra”».

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