Politica peggio della mafia

 

In Italia, da molti anni, l’attività politica ha assunto le dinamiche, i contenuti e gli obiettivi del progetto mafioso. Come la mafia, la politica vuole tessere il tessuto sociale agevolando o impedendo relazioni ed economia, giungendo al controllo totale sulle persone e determinandone i rapporti quotidiani.

La politica ha spostato il suo obiettivo. Non cerca più di ottenere il consenso attraverso l’apprezzamento dal popolo per il buon lavoro svolto nella gestione della cosa pubblica, per poi farsi votare. Ha preso la scorciatoia cercando di controllare e condizionare i meccanismi sociali della vita pubblica e privata, arrivando a dominare l’esistenza del cittadino, trasformandolo in suddito. Ha trasformato l’economia da sufficientemente sana a drammaticamente corrotta.

Quindi usando la cresta sulla spesa pubblica per comprare, condizionare, sottomettere, pervertire funzionari pubblici e imprenditori. Fino a condizionare ed estorcere consenso al cittadino facendo leva su diritti e bisogni.

La vita pubblica è diventata un grande affare costruito sulla pelle del popolo che da sovrano diventa massa da mungere, fonte di alimentazione per una politica corrotta che, per la sua sopravvivenza, necessita di una condizione indispensabile: fare i soldi. E proprio in nome dei soldi, poi in fondo, il politico, come il capo bastone mafioso, è disposto a passare sopra a principi, schieramenti, ideologie, legalità. E nasce la melma gelatinosa della trasversalità del male. Un torbido peggio della mafia.

Per influenzare e condizionare i rapporti, creare contatti, alleanze, relazioni, strutturare il mercato dei favori, i politici hanno creato un’organizzazione di sottoposti. Selezione ferrea di “professionisti” per caratteristiche di affidabilità omertosa e facilità a subire coartazione. Tutto in un clima di delinquenza tendenziale, sotto la regia occulta dei vertici del sistema. Quasi sempre organizzati a cupola, a direttorio.

Professionisti, trafficanti di relazioni, mezze figure di partito, falsi arbitri, pur non facendo parte, a volte, dell’organizzazione politico “mafiosa”, sono in costante contatto con le correnti di riferimento, diventando un’espressione della loro forza e unica chiave di accesso.

Un braccio operativo per gli affari criminali o per la concessione di diritti dovuti, amministrati in un contesto di funzione pubblica manipolata e fortemente caratterizzata da forme di violenza simbolica.

Peter Gomez, del Fatto.it, parlando del caso De Girolamo, degli affari di bar e mozzarelle di suoi amici e parenti, ha affermato che nella politica ci sono ormai dinamiche paragonabili ai comportamenti mafiosi. Ha ragione ma sottovaluta. Si tratta di comportamenti più gravi di quelli della mafia. Perché i politici godono delle franchigie di tutela del potere e possono tradire impunemente i cittadini che li hanno eletti.

di Piero Di Caterina

15/01/2014