Continua lo scontro tra Matteo Renzi e la associazioni di categoria. Dopo il braccio di ferro con i sindacati, ecco quello con i magistrati. Al centro del dibattito, ovviamente, la riforma della giustizia. Secondo l’Anm (Associazione Nazionale Magistrati) sarà un flop. Questo giudizio particolarmente duro procede non solo da un’analisi del testo attualmente al vaglio delle forze parlamentari, ma anche dal clima di tensione che si è venuto a creare in queste settimane.
A quanto pare, Renzi sta usando la stessa tattica di Berlusconi. Accusa i magistrati di ostruzionismo, diffondendo notizie solo parzialmente vere, in modo da distogliere l’attenzione dalle lacune del suo operato.
Certo, gli argomenti di “distrazione di massa” sono diversi. Se Berlusconi puntava il dito contro la dittatura dei giudici e le toghe rosse, l’attuale premier fa leva sulla presunta “identità di casta”. Nella suggestiva cosmologia renziana, i magistrati rappresentano un potere forte, ostile al rinnovamento e deciso a salvaguardare i propri privilegi. Si inseriscono in questo filone le polemiche sulla riduzione delle ferie e sull’abbassamento del tetto degli stipendi.
Polemiche inutili, secondo l’Anm. O meglio, utili a un solo scopo: coprire il marcio che già ora emerge dalla riforma della giustizia. Le dichiarazioni del presidente Roberto Sabelli al Comitato Direttivo Centrale non lasciano spazio ai dubbi: “Assistiamo da tempo a interventi che eccedono i confini della semplice riforma tecnica. Inutili provocazioni, come il ritornello, ripetuto fino all’altro ieri, che la Anm avrebbe protestato contro il tetto stipendiale massimo e avrebbe considerato la riduzione delle ferie alla stregua di un attentato alla democrazia. Le favole di Renzi non diventano vere solo perché raccontate più spesso”.
Notevole la stoccata sul piano politico: “Il dibattito pubblico sta sfociando nelle polemiche per volere stesso del premier, per soddisfare le sue esigenze di propaganda. Anche perché e riforme che si vanno delineando sono lontane da quella rivoluzione che, secondo facili slogan, dovrebbe restituire alla giustizia piena efficienza e decoro”.
Insomma, Renzi starebbe strumentalizzando il tema della giustizia per scopi elettorali. Una strategia di questo tipo, oltre che dal punto di vista etico, è disprezzabile perché realmente rischia di porre l’Italia in guai serie.
La giustizia in Italia non va. L’Europa ci ha avvertito, e in genere dopo gli avvertimenti vengono le sanzioni. Sono impietosi i numeri diffusi di recente dal Consiglio d’Europa. Il nostro paese si conquista la maglia nera sul fronte dei tempo processuali. Per una sentenza di primo grado per bancarotta, occorrono in media 2.648 giorni. Mentre per una causa di divorzio ne occorrono in media 770. Nessun paese, nell’Europa a 28, fa peggio di noi.
Grave anche il problema dei processi pendenti di tipo penale. Alla fine del 2012, erano 1.454.452. Anche in questo caso l’Italia si guadagna un vergognoso primo posto. Siamo secondi invece per numero di cause civili in attesa di giudizio, 4.650.566. Davanti a noi, un po’ a sorpresa, c’è la Germania.
Buone notizie arrivano però sul fronte dell’informatizzazione. In Italia, tutti i tribunali hanno a disposizione gli strumenti dell’informatica. Nel 2012 solo il 50%. Le strutture informatiche non mancano. Mancano però le norme che permettano, in alcune fasi del lavoro dei magistrati, di sostituire il digitale al cartaceo. E’ un punto sul quale Gratteri si sofferma spesso nelle sue interviste: è a costo zero e abbassa fisiologicamente i tempi della giustizia.
Giuseppe Briganti