Luciano Violante non ha requisiti per essere eletto a membro della Corte Costituzionale. Ad averlo scoperto è stato il Movimento 5 Stelle.
La notizia sta nel verbo “scoprire”. E’ vergognoso che la compatibilità di un candidato con una carica debba essere scoperta. La domanda che sorge spontanea è: perché il Partito Democratico non ha verificato i requisiti prima di avanzare la candidatura di un suo tesserato?
Nella migliore delle ipotesi, siamo di fronte a una svista clamorosa. Una mancanza inconcepibile per un paese che vuole essere guida di una nazione. Un errore da dilettanti. Nella peggiore delle ipotesi, c’è stata mala fede e quindi un tentativo di “sporcare” le elezioni a proprio favore o favorire uno dei personaggi di punta del centrosinistra – sia del presente che del passato. Il Fatto Quotidiano si è dimostrato incline a credere in questa alternativa. E infatti titola: “Truffa alla Corte Costituzionale?”
Merito della scoperta è stato Danilo Tonelli e di alcuni suoi compagni di partito (o di movimento). Sono stati loro a evitare al Paese intero una frittata colossale. In un certo senso, hanno anche salvato la faccia al Pd. Se l’assenza di requisiti fosse uscita allo scoperto solo dopo una eventuale nomina di Violante, il guaio sarebbe stato irreparabile – a livello di immagine ovviamente, il giudice sarebbe semplicemente decaduto.
Ma nello specifico quali sono i requisiti che Violante non possiede? Il testo da prendere in considerazione è l’articolo 135 della Costituzione. Poche righe ma che mettono fuori gioco il politico del Pd. Si legge: “I giudici della Corte costituzionale sono scelti tra i magistrati anche a riposo delle giurisdizioni superiori ordinaria ed amministrative, i professori ordinari di università in materie giuridiche e gli avvocati dopo venti anni d’esercizio”.
In primo luogo, Violante non ha mai ricoperto il ruolo di giudice in giurisdizioni superiori. Queste comprendono Cassazione, Consiglio di Stato, Corte dei Conti o Corte costituzionale. E’ stato, infatti, un “semplice” magistrato ordinario. Secondariamente, non ha mai esercitato la professione di avvocato (pur avendo la qualifica per farlo). Infine, non è un professore ordinario di università. Su questo punto, la questione si fa un po’ più complicata. L’espressione “a riposo” si dovrebbe intendere esclusivamente riferita a “magistrati”, mentre non riguarda le altre qualifiche. Dunque, si deduce che un professore ordinario di materie giuridiche per essere eletto a membro della Corte Costituzionale debba essere ancora in carica. Ebbene, Violante non è più un professore dal 2009, anno in cui è entrato in pensione.
Alcune voci del Partito Democratico hanno contestato il ragionamento dell’attivista a Cinque Stelle. A legittimare la candidatura di Violante ci sarebbero parecchi precedenti, ossia membri della Corte Costituzionale, eletti e “accettati” anche formalmente dai colleghi (che hanno proceduto come da programma con le verifiche del caso) che, al momento della nomina, sarebbe stati professori non in carica, proprio come il politico del Pd.
Tonelli ha subito replicato asserendo che questi precedenti non possono essere presi in considerazione. Semplicemente, erano sì professori a riposo ma allo stesso tempo erano anche professori emeriti e quindi coordinavano progetti di ricerca. Insomma, erano in un certo senso ancora in carica. E’ evidentemente come la questione, in verità, sia più ambigua di ciò che si potrebbe pensare. Il buon senso sembra protendere verso la parte grillina. Tuttavia non è escluso che alla fine prevalga l’interpretazione del Partito Democratico, per quanto forzata.
Nel frattempo, prosegue l’empasse. Siamo alla sedicesima fumata nera. Alcuni parlamentari si sono spazientiti e hanno espresso il loro disappunto con qualche azione non propriamente convenzionale. I leghisti, per esempio, anziché scrivere nelle schede elettorali “Caramazza” (l’altro candidato insieme a Violante”) hanno scritto “Caraminchia”.
Giuseppe Briganti